giovedì 7 febbraio 2013

Il tuffo.

C'è sempre stato questo rischio, ma ora più che mai. E c'è un bisogno forte che mi fa piegare a certe modalità meschine. Come ormai accade sempre più spesso in questo bel paese a giudicare c'è sempre qualcuno che non ha idea di che cosa stia facendo. In pratica siamo ad una gara di tuffi e la giuria è composta da un postino amante delle moto da cross, da una esperta di marketing che ha lavorato per molte banche, da un bambino dell'asilo che non segue la gara perchè impegnato col didò e da una militare che sta lucidando il suo fucile guardando male tutti coloro che portano i baffi in platea...
Io sono li sul trampolino a sfidare la difficoltà, dopo molti allenamenti. Punto le dita dei piedi sui bordi e guardo giù, mi fermo un istante. Devo fare ancora meglio per convicere loro che il mio tuffo è un buon tuffo. Allora parto: respiro e blocco il diframma, piego le ginocchia e sento un briciolo di aria passarmi sotto i piedi. Sono in volo, la folla è solo una macchia nemmeno molto variopinta. Tiro a me entrambe le ganbe ben tese. Ma poi mi rendo conto che l'unico modo di far bene in questa gara è di non bagnarsi. Lascio andare i muscoli in riposo. Il corpo si sfalda in tante piccole giunzioni come bagnata carta e boom! Sono in acqua, atterrato con la schiena. Me ne esco con un bel bruciore e con la giuria che guardandomi dice: "Lo sapevamo".

giacomo

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